Secondo giorno dei quattro disponibili per festeggiare il nostro Santo Patrono.
Anche oggi siamo scesi in fiera e tra mille colori e volti ci siamo fermati vicino ad un gruppetto seduto su una panchina sul lungomare. Uno di loro – occhialini da vista e cappello rosso – ci accoglie particolarmente nella sua bancarella, accettando addirittura di diventare protagonista della nostra intervista/chiacchierata.
Mi ha sorpreso questo suo gesto: era come se avesse deciso di rompere una barriera invisibile che ci separa dal prossimo, dalle persone e ,infondo, da noi stessi. Mi chiede per prima cosa se sono juventino. Non appena gli dico di essere interista mi abbraccia esultando e, facendo partire uno dei classici sfottò calcistici, i sorrisi iniziano a fioccare sui volti di tutti. Continuiamo la nostra chiacchierata e gli domando come si chiami. ”Papi, Papi Chulo” dice e scoppiamo a ridere. Io gli metto la mano sulla spalla, lui fa lo stesso.
Papi ha trent’anni, viene dal Senegal e racconta di essersi arruolato nell’esercito senegalese quando aveva diciott’anni e di aver preso congedo a ventiquattro. Lodi e lodi per la vita da lui fatta in quell’arco di tempo: aveva cibo, acqua e un tetto sotto cui ripararsi, e questo per lui significa stare bene sempre. In Senegal ha avuto perfino la possibilità di laurearsi. Una parola segue un’altra e, dopo pochi minuti scanditi da sorrisi e battute, siamo diventati amici.
Penso sia meraviglioso vivere e non semplicemente osservare la fiera. Il nostro animo è portato naturalmente ad amare noi stessi e quindi il prossimo, perché – fidati di me caro lettore – non c’è niente di più bello che sentire col cuore lo sguardo soddisfatto di un uomo, donna o bambino che ha una storia difficile alle spalle mentre ti allontanati, salutando e rimettendoti in carreggiata verso la prossima storia da provare a vivere con l’animo puro che, solo se vogliamo, sempre ci contraddistinguerà.